
Ad agosto sono partita senza tappetino yoga.
Un mese, senza yoga mat.
Una scelta sofferta, ma mi ha sciolto da una vecchia dipendenza, e ne sono felice: sappiamo tutti che si può praticare yoga anche senza tappetino (leggi ad esempio: Il tappetino Yoga è davvero necessario?)
Il risultato di questa scelta ha però portato molte più conseguenze di quanto mi potessi aspettare.
Una dipendenza che avevo già scoperto di avere, e che dimentichiamo spesso, è quella alla pratica fisica dello yoga. L'ho scoperto sulla mia persona durante il mio primo ritiro Vipassana, in cui non è ammesso fare alcun tipo di esercizio fisico. Assurdo! Impossibile! Sono i primi pensieri che balenano nella mente. Perché dunque impossibile? Diventa impossibile quando si ha una dipendenza alla pratica fisica, senza la quale "non posso stare bene". E i corsi Vipassana sanno mostrarti anche quella, di dipendenza...
Nell'ultimo mese, oltre le (intense) escursioni che ho praticato, ho riscoperto altre maniere di "esercitare il corpo" che funzionano benissimo: corsa, nuoto ecc. Certo, è stato piacevole praticare yin yoga un po' di volte, ma in realtà, anche se ho praticato delle asana solo alcuni giorni, il mese passato "senza tappetino" è stato il mese in cui ho praticato più yoga di tutta la mia vita.
Perché spesso le asana (le posture) ti distraggono da quello che realmente è lo yoga.
Attenzione, io trovo la pratica delle asana fenomenale e trasformativa e divertente e sana. Mi diverto a praticare vinyasa flow (ma solo quando ho l'energia giusta) e anche fare delle posture complesse. Ma c'è molto di più nello yoga. Lo yoga è molto altro.
Questo è importante da sottolineare in un mondo in cui degli stili di yoga più dinamici hanno preso piede in occidente. E una pratica di yoga in cui l'attenzione principale è sull'aspetto fisico manca dell'essenza dello yoga.
Noi insegnanti predichiamo così tanto nelle nostre lezioni... Così tante parole auliche: connessione, amore universale, non-violenza, accettazione, ascolto... Quante belle parole. Ma son parole vuote, che cadono lì, se vengono dimenticate alla fine della lezione, e se non le viviamo nella vita quotidiana. Autenticità, si chiama.
I viaggi aiutano: ti mettono spesso in condizioni estreme, in cui il tuo vero io, quello che spesso teniamo a bada, fuoriesce ed irrompe in tutta la sua brutalità. Ed è quello il vero terreno di pratica dello yoga. Non l'oretta a lezione, e spesso neanche la routine quotidiana, che impariamo a gestire in un modo o nell'altro. No. Il vero test è quando siamo scoperti, senz'armi, senza punti di riferimento, vis-a-vis con lo sconosciuto. Fuori dalla comfort-zone.
Non ho mai praticato così tanto yoga come ho fatto nell'ultimo mese. Messa alle strette con me stessa, sono usciti i lati cupi della mia personalità, e con quelli ho danzato nelle ombre e nella luce grazie alla pratica dello yoga. Ho conosciuto crepacci antichi e visitato nuove sorgenti, e senza gli insegnamenti dello yoga, senza gli insegnamenti dei miei insegnanti, sarei rimasta lì, a combattere con fantasmi della memoria e spettri della mente.
Ho imparato tanto, ho viaggiato lungamente, e sono ritornata apparentemente come prima, eppur diversa.
Ed è quello che condivido spesso nelle mie lezioni: lo yoga inizia quando vogliamo uscire da una postura, quando usciamo dalla sala, quando tutto ruota intorno a noi senza un senso apparente. Lo yoga si sviluppa assieme alle nostre percezioni, ai nostri viaggi, interiori soprattutto. Lo yoga è molto di più di quello che possiamo immaginare. Lo yoga va ben oltre le asana.
Il mio invito è quindi questo: non soffermiamoci troppo sull'aspetto fisico dello yoga, perché questo ci distrae dallo yoga più profondo. Prendiamoci cura del nostro corpo, ma non ci limitiamo a quello. Madre Terra e tutti i suoi abitanti ne saranno grati. A noi il duro compito del viaggio interiore.